Nascita degli Arditi

OGGI 29 LUGLIO, ITALIANO RICORDA…

1917

STORIA DELL’ESERCITO ITALIANO

PRIMA GUERRA MONDIALE

VENGONO COSTITUITI GLI

ARDITI

COME SPECIALITÀ DELL’ARMA DI FANTERIA

I PROGENITORI DEGLI INCURSORI DEL

9° REGGIMENTO D’ASSALTO PARACADUTISTA “COL MOSCHIN”

Gli Arditi furono una Specialità dell’Arma di Fanteria del Regio Esercito italiano durante la prima guerra mondiale.

La Specialità, sciolta dopo il conflitto, fu brevemente ricostituita durante la seconda guerra mondiale con l’attivazione del 10º Reggimento Arditi (15 settembre 1942 – settembre 1943).

Le sue tradizioni furono ereditate a partire dal 1975 dal 9º Battaglione d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin” (poi Reggimento dal 1995) e dall’Associazione Combattentistica di reduci (Arditi d’Italia).

Un’idea anticipatrice dell’Ardito può essere fatta lontanamente risalire al 1914, quando in ogni Reggimento di Fanteria del Regio Esercito venne creato un gruppo di esploratori addestrati ad agire dietro le linee nemiche.

I primi nuclei di Arditi NACQUERO e si ADDESTRARONO a MANZANO (UDINE), in località SDRICCA, dove tuttora si celebra una commemorazione ed una rievocazione l’ultima domenica di luglio.

In seguito, gli Arditi divennero un corpo speciale d’assalto.

Il loro compito non era più quello di aprire la strada alla Fanteria verso le linee nemiche, ma la totale conquista di queste ultime.

Per fare ciò, venivano scelti i soldati più temerari, che ricevevano un addestramento molto realistico, con l’uso di granate e munizionamento reale, e con lo studio delle tecniche d’assalto e del combattimento corpo a corpo.

Operativamente, gli Arditi agivano in piccole unità d’assalto, i cui membri erano dotati di petardi “Thévenot”, granate e pugnali, utilizzati in assalti alle trincee nemiche. Le trincee venivano tenute occupate fino all’arrivo dei rincalzi di Fanteria. Il tasso di perdite era estremamente elevato.

Nel 1916 il Comando Supremo decise di premiare con la qualifica di militare Ardito chi si fosse distinto per decisione e coraggio, con l’espresso divieto di creare unità speciali. Il distintivo, da portarsi al braccio sinistro, era il monogramma reale VE, ed era pensato esclusivamente come premio e come indicazione del soldato da portare ad esempio. Questa fu tuttavia la genesi nell’immaginario del vocabolo “Ardito”.

Nel 1917 a seguito di proposte e studi da parte di giovani Ufficiali stanchi della stasi e dell’inutile massacro della vita di trincea, si arrivò alla sperimentazione di un’unità appositamente costituita presso la 48ª Divisione dell’VIII° Corpo d’Armata, comandata dal Capitano Giuseppe Bassi e il suo Sergente Longoni Giuseppe. Giuseppe Bassi fu inoltre autore di una innovativa nota sull’impiego delle pistole mitragliatrici Fiat Mod. 15 /OVP – Officine Villar Perosa. Già nel marzo 1917 il Comando Supremo aveva inviato una circolare informativa circa la costituzione presso l’esercito austroungarico di unità speciali.

A seguito di valutazione positiva si decise di istituzionalizzare la nascita della nuova Specialità, ma dissidi sull’equipaggiamento e sull’addestramento fecero slittare l’inizio dell’attività al 29 luglio 1917, quando lo stesso re Vittorio Emanuele III sancì la nascita dei Reparti d’Assalto.

I neonati reparti d’assalto si svilupparono quindi come corpo a sé stante, con una propria uniforme ed un addestramento differenziato e superiore a quello dei normali soldati, da impiegarsi a livello di compagnia o di intero battaglione.

La sede della scuola d’addestramento venne fissata a SDRICCA DI MANZANO (UDINE) ed il comando affidato allo stesso Maggiore Bassi. In seguito alla Scuola di SDRICCA (e alle altre create all’uopo) vennero brevettati anche gli Arditi reggimentali (niente a che vedere con i “militari arditi” del 1916), la cui istituzione fu poi ufficializzata nel 1918 con apposita circolare.

I primi reparti vennero creati nella 2ª Armata, e al momento di CAPORETTO risultavano costituiti 27 reparti (o più probabilmente 23), anche se quelli effettivamente impiegabili in combattimento furono molti di meno. Quelli dipendenti dalla 2ª e dalla 3ª Armata erano alle dipendenze del Comando d’Armata, mentre gli altri erano alle dipendenze dei Comandi di Corpo d’Armata, soprattutto nel caso delle fiamme verdi e degli altri reparti operanti in ambiente alpino.

Solo i reparti della 2ª Armata erano già stati utilizzati ampiamente e provati in azione (almeno 3 Battaglioni su 6 avevano operato come unità organiche, mentre gli altri probabilmente solo come Compagnie); mentre quelli della 3ª (probabilmente 3 Battaglioni) erano ad un livello elevato di preparazione fisica e tecnica, gli altri invece si trovavano ancora in addestramento; talvolta anzi i reparti alpini erano stati addestrati secondo standard inferiori a quelli della 2ª e 3ª Armata, che disponevano di un campo d’addestramento apposito a BORGNANO, nei pressi di MEDEA (GORIZIA), ed un comando unico per le truppe ardite; si può dire che ancora nel tardo 1917 la specialità non era ancora stata ben compresa dagli alti comandi al di fuori di queste due Armate.

I primi sei reparti della 2ª Armata combatterono la BATTAGLIA di UDINE e protessero la ritirata sui PONTI di VIDOR e della PRIULA, rimanendo sulle posizioni per consentire alle ultime unità regolari di passare il PIAVE.

Nell’inverno del 1917 vennero sciolti, ricostituiti e riaddestrati arrivando a 22 reparti operativi, per diventare al maggio 1918 di nuovo 27 (più un reparto di marcia per ogni Armata), assegnati ai Corpi d’Armata. Un Reparto d’Assalto era composto (inizialmente e teoricamente) da 735 uomini.

Dopo il DISASTRO di CAPORETTO, gli Arditi caddero per qualche tempo in disgrazia e furono riorganizzati pesantemente; il Colonnello Bassi perse a sua volta prestigio ed invece di sopraintendere all’organizzazione degli Arditi quale Ispettore fu inviato a comandare un normale Reggimento di linea.

In particolare la riorganizzazione prevedeva la normalizzazione dei reparti (portati a 21, e numerati da I a XIII, XVI, XVII, e da XIX a XXIV) con l’invio di Ufficiali più conservatori e dediti alla cura della disciplina. L’organizzazione fu portata da 4 a 3 Compagnie, di 150 uomini ciascuna, cui erano associate 3 Sezioni autonome di mitragliatrici (Fiat Mod. 14), 6 Sezioni autonome di pistole mitragliatrici (mitragliatrici leggere Villar Perosa), 6 Sezioni autonome di lanciafiamme, per un totale di 600 uomini circa; le mitragliatrici e le pistole mitragliatrici furono tolte alle Compagnie e raccolte in Sezioni (contrariamente all’intuizione di Bassi e di Capello), anche se poi queste Sezioni per lo più venivano, nella pratica, riassegnate alle Compagnie. Inoltre, per snellire i reparti, furono eliminati, almeno temporaneamente i due cannoni da 37 o i due obici da 65/17 che Capello aveva aggiunto ai reparti Arditi della 2ª Armata.

Anche la divisa si normalizzò, sembra per carenza di materiali, per tornare all’originale verso la metà del 1918, un reparto la volta. L’addestramento centralizzato nel campo di SDRICCA, fortemente consigliato da Bassi, fu sostituito con campi d’addestramento specifici per ogni Corpo d’Armata, anche se il modello d’addestramento fu presto adeguato a quello originale (in questa riorganizzazione si decise di dotare ogni Corpo d’Armata di un Reparto Arditi, momentaneamente rinunciando alla creazione di grossi reparti d’assalto, previsti da Capello e riorganizzati alla fine del 1918). Dopo un momento di incomprensione, i nuovi Ufficiali furono molto colpiti dalla forma mentis e dalle pratiche d’addestramento degli Arditi, giungendo nuovamente a raggiungere l’eccellenza grazie alla formazione di nuove reclute che riempivano i vuoti causati dalla ritirata.

In particolare, si distinsero gli arditi del IX° Battaglione (comandante l’allora Maggiore e futuro Maresciallo d’Italia Giovanni Messe) e quelli del V°, ora XXVII° (comandante Maggiore Luigi Freguglia), entrambi inizialmente tra i peggiori della Specialità e portati ai massimi livelli dai rispettivi Comandanti, che curarono notevolmente la preparazione atletica e il realismo delle esercitazioni, oltre a congedare alcuni elementi indisciplinati e troppo provati.

Nel 1918 si volle nuovamente riorganizzare la Specialità, che rimaneva poco compresa dagli alti comandi, ma che si era molto distinta. I Battaglioni dedicati al Corpo d’Armata presero la denominazione del corpo stesso e ne condivisero la numerazione (da 1º a 23º, sia in numeri romani che in numeri arabi), cui si aggiungevano altri Battaglioni, inizialmente il XXX (dato come rinforzo al I Corpo d’Armata) e il LII (abbinato alla 52ª Divisione Alpina, che aveva compiti autonomi); cui si aggiungevano 7 Battaglioni “di marcia” destinati alla riserva centrale e all’addestramento dei complementi, più tre Battaglioni autonomi aggregati ai reparti italiani operanti fuori dal fronte italiano (uno in FRANCIA, uno in ALBANIA e uno in MACEDONIA).

Successivamente si cercò di costruire (riprendendo la decisione di Capello del ’17) delle grandi unità composte eminentemente di Arditi, la 1ª e la 2ª Divisione d’assalto, con 6 Battaglioni ciascuna (più Artiglieria, Servizi e Battaglioni di Bersaglieri), anche se fu molto difficile mantenere l’organico previsto e molti Battaglioni furono spostati dai Corpi d’Armata alle Divisioni e viceversa, per un totale di 39-40 Battaglioni addestrati, circa, alcuni dei quali in seguito ai combattimenti venivano sciolti e riorganizzati o utilizzati, divisi per Compagnie, per rinforzare altri reparti con una singola.

Nel giugno del 1918 venne costituita una Divisione d’Assalto con nove reparti al comando del Maggior Generale Ottavio Zoppi, divenuta poi Corpo d’Armata d’assalto con dodici reparti su due Divisioni. Al Corpo d’Armata d’assalto vennero assegnati anche sei Battaglioni Bersaglieri e due Battaglioni Bersaglieri ciclisti, nonché supporti tattici e logistici adeguati.

I reparti prelevati dai Corpi d’Armata per costituire le Divisioni vennero ricostituiti tanto che a fine guerra si contavano i dodici reparti d’assalto (più due di marcia) inquadrati nel Corpo d’Armata d’assalto, e venticinque reparti indipendenti assegnati alle Armate.

Gli Arditi furono tra gli artefici dello SFONDAMENTO della LINEA del PIAVE che permise nel novembre del 1918 la VITTORIA FINALE sugli eserciti austroungarici.

Pochi mesi dopo il termine della guerra, con la smobilitazione dell’Esercito, si decise lo scioglimento dei Reparti d’Assalto, sia per motivi di riorganizzazione che di politica interna al Regio Esercito.

Tra gennaio e febbraio 1919 il Comando Supremo sciolse il Corpo d’Armata d’assalto, la 2ª Divisione d’assalto e tutti i reparti non indivisionati.

Nel marzo 1919 solo la 1ª Divisione d’assalto era ancora operativa e venne inviata nella LIBIA ITALIANA per operazioni di polizia coloniale insieme ad altre due Divisioni ordinarie.

Con l’inizio del biennio rosso, il Ministro della Guerra Caviglia decise di ricostituire temporaneamente alcuni reparti di Arditi da impiegare in operazioni di ordine pubblico particolarmente impegnative.

Lo scioglimento definitivo avvenne alla fine del 1920 con il nuovo ordinamento Bonomi.

Fra le due guerre gli Arditi si riunirono nell’Associazione Nazionale Arditi d’Italia (ANAI), fondata dal Capitano Mario Carli, poi tra i membri del cosiddetto “fascismo delle origini”, lo stesso che scrisse assieme a Marinetti l’articolo Arditi non gendarmi.

La maggioranza degli Arditi aderì al movimento fascista, anche se l’adesione non fu unanime, come risulta dall’esperienza degli Arditi del Popolo (frangia secessionista romana dell’ANAI, schierata politicamente sulle posizioni del socialismo massimalista).

Si noti che l’Esercito Italiano abolì il corpo nel 1920, abolizione che fu mantenuta dal fascismo mussoliniano, prodigo di riconoscimenti ed onori all’arditismo ma poco propenso a reinserire un corpo scelto irrequieto, indisciplinato e costoso nell’esercito.

Gli Arditi parteciparono attivamente all’impresa fiumana sotto la guida di Gabriele d’Annunzio.

I soldati di preferenza erano arruolati su base volontaria, ma col progredire del numero dei reparti iniziarono ad essere designati dai propri comandi tra i soldati più esperti e coraggiosi delle compagnie di linea, possibilmente scegliendoli tra i militari già decorati al valore (secondo la proporzione di un soldato ogni compagnia di fanteria, e di due per le compagnie di Alpini e Bersaglieri).

Dopo un accertamento dell’idoneità militare come Arditi mediante prove di forza, destrezza e sangue freddo, venivano addestrati all’uso delle armi in dotazione, alle tattiche innovative di assalto, alla lotta corpo a corpo con o senza armi, il tutto supportato da una continua preparazione atletica. Contrariamente alla leggenda, diffusa dagli stessi Arditi, non erano ammessi nel corpo i pregiudicati, anche se chi era stato colpito da provvedimenti disciplinari o dalla giustizia militare (che è cosa ben diversa dalla giustizia civile) poteva fare domanda per entrare nel corpo in cambio di una riduzione della pena.

In particolare venivano impartite lezioni per il lancio delle bombe a mano, per il tiro col fucile, per l’utilizzo del lanciafiamme e della mitragliatrice, oltre alla scherma con il pugnale. L’addestramento era particolarmente intensivo e realistico, effettuato su “colline tipo” estremamente simili a quelle del fronte con l’uso di armi di preda bellica con munizioni vere, e furono diversi gli Arditi deceduti durante le esercitazioni o l’addestramento di base (soprattutto colpiti da schegge di bomba a mano, perché la loro procedura operativa prevedeva un lancio molto corto dell’ordigno, subito seguito da un assalto diretto. L’elevato addestramento, lo spirito di corpo e lo sprezzo del pericolo, ma anche i vantaggi di cui godevano, fecero degli Arditi il corpo più temuto dagli eserciti avversari, ma crearono anche un clima di diffidenza e di invidia da parte di Ufficiali appartenenti ad altri reparti. Alcuni militari di truppa portavano nei loro riguardi stima e rispetto, per la capacità di risolvere sul campo di battaglia situazioni tatticamente impossibili per i reparti di linea, altri invidia e odio, perché a differenza di loro, gli Arditi erano ben armati ed addestrati, godevano di licenze frequenti e buon rancio, e tra un assalto e l’altro erano inviati nelle retrovie, o addirittura in città, mentre loro rimanevano molto a lungo in linea senza essere rilevati nemmeno dopo lunghi combattimenti, e, quando inviati “in riposo” erano mandati spesso in seconda linea a svolgere lavori (spostamento munizioni, scavo trincee ecc.) oppure abbandonati in campagna.

Un altro motivo di invidia dipendeva dal fatto che gli Arditi erano sottomessi ad una disciplina poco formale e meno rigida.

Inoltre, spesso molti soldati trovavano fastidioso che queste truppe, molto meglio armate ed addestrate, conquistassero con “facilità“, o almeno con velocità, (prendendosene il merito) posizioni attorno alle quali avevano combattuto con scarsa fortuna per mesi, indebolendole con inutili e sanguinosi attacchi frontali (e, inoltre, magari difendendole dal contrattacco nemico che era seguito alla conquista degli Arditi); il merito della conquista andava quindi agli Arditi, creando un dualismo in seno all’Esercito, tra reparti di linea e reparti offensivi.

Oggi il 9º Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin è l’unico reparto Incursori delle Forze Speciali dell’Esercito Italiano.

Il 9° Reggimento “Col Moschin” è inquadrato nel Comando delle Forze Speciali dell’Esercito e ha la custodia della Bandiera di guerra del IX° Reparto d’Assalto, del quale ha ereditato l’anno di costituzione (1918), il nome del luogo di un’epica azione e le mostrine (fiamme nere degli Arditi), riadottate nel 2006. Dal 1995, nel quadro di ristrutturazione dell’Esercito Italiano, è passato da battaglione a reggimento.

Il 18 aprile 2019 ha ricevuto ufficialmente come copricapo il BASCO GRIGIOVERDE in sostituzione di quello cremisi delle unità paracadutiste.

La base del Reggimento è a LIVORNO presso la Caserma “Vannucci“. Esiste anche un centro di addestramento, denominato Base Addestramento Incursori (BAI) a PISA, situato nel parco regionale di SAN ROSSORE (ex tenuta presidenziale) vicino alla FOCE del FIUME ARNO, che viene utilizzato per le attività anfibie e subacquee del reggimento.

Per l’attività operativa dipendono dal COFS, il Comando interforze per le Operazioni delle Forze Speciali.

Le unità Arditi, dopo la seconda guerra mondiale, furono ricostituite come Compagnia presso la Scuola di Fanteria a CESANO nel 1953, ed un anno dopo diviene Reparto Sabotatori Paracadutisti.

Assegnato alla Scuola di Paracadutismo di PISA nel 1957, diviene Battaglione Sabotatori Paracadutisti il 25 settembre 1961.

Segue quindi le sorti della rinata Brigata Paracadutisti “Folgore“, e nel 1975 assume la denominazione di 9º Battaglione d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin.

Nel 1978 con l’istituzione, in funzione antiterrorismo, delle “Unità interventi speciali” ne venne chiamata a far parte un’aliquota del Battaglione.

Nel 1995 da Battaglione diventa Reggimento e assume la denominazione attuale: 9° Reggimento d’Assalto Paracadutisti Incursori “Col Moschin”.

Nell’aprile 2019 viene consegnato il basco grigio-verde, che si aggiunge allo specifico fregio da basco, dalle mostrine nere e al distintivo di brevetto con gladio, tutti simboli e fregi degli Arditi.

Il reparto è stato protagonista di numerose operazioni militari ed antiterroristiche in tutto il mondo ed è l’unico ad aver partecipato a tutte le missioni all’estero dell’Esercito Italiano dal dopoguerra ad oggi.

Il Reggimento, inquadrato nel Comando delle Forze Speciali dell’Esercito, per l’attività operativa dipende dal COFS, il Comando interforze per le Operazioni delle Forze Speciali.

Dal 2016 opera anche, su richiesta dei servizi d’intelligence dell’AISE, per singole missioni riservate all’estero, colmando una lacuna rispetto ai servizi di altri paesi.

Attualmente è composto da personale specificatamente selezionato e formato, particolarmente addestrato ed equipaggiato per condurre l’intero spettro dei compiti tipici delle “Operazioni Speciali” e specificatamente designata e qualificata per condurre talune attività di rilevanza strategica nazionale.

La componente operativa del reggimento è costituita da Ufficiali, Sottufficiali, Graduati e Volontari in servizio permanente o in ferma prefissata, addestrati e selezionati mediante un iter formativo della durata di circa due anni, che culmina nell’attribuzione del brevetto di “Incursore”.

La Bandiera di Guerra del 9° reggimento d’assalto paracadutisti “Col Moschin” è decorata di due Ordini Militari d’Italia, una Medaglia d’Oro al Valore dell’Esercito, tre Medaglie d’Argento al Valor Militare e una Medaglia d’Argento al Valore dell’Esercito.

La festa del Reggimento cade il 16 Giugno, data in cui ricorre l’anniversario della BATTAGLIA del COL MOSCHIN (16 giugno 1918) in occasione della quale gli Arditi del IX° Reparto d’Assalto scrissero una delle pagine più eroiche della Grande Guerra.

La BATTAGLIA per la conquista del COL MOSCHIN va inquadrata nella BATTAGLIA del SOLSTIZIO, o SECONDA BATTAGLIA del PIAVE (15 – 22 giugno 1918), che fu combattuta tra il Regio Esercito italiano e l’Imperial Regio Esercito austro ungarico.

Il motto del Reggimento è “DELLA FOLGORE L’IMPETO